CHI SONO GLI INTELLETTUALI E CHE RUOLO HANNO NELLA SOCIETÀ?
La risposta a questa domanda può certamente trovare una sua prima formulazione negli scritti di Antonio Gramsci. Rileggendo pagine importanti dei Quaderni del carcere mi sono reso conto che la sua lezione offre ancora oggi degli strumenti intellettuali molto utili alla comprensione della realtà. Il tema è certamente estremamente ramificato, ma nello studiare l’impostazione gramsciana mi sono reso conto che ci sono dei punti fermi, osservazioni solide che formano una struttura chiara della questione degli intellettuali e del loro rapporto con la società.
Gramsci pone la questione nei termini di una possibile separazione tra gli intellettuali come gruppo autonomo e gli intellettuali che appartengono ai diversi gruppi sociali. Dico possibile in quanto la scelta tra queste due alternative è un obiettivo e la decisione non assume la forma di una risposta diretta, almeno non all’inizio.
Da quanto Gramsci scrive «Ogni gruppo sociale, nascendo sul terreno originario di una funzione essenziale nel mondo della produzione economica…» capiamo subito che l’accento è posto sul termine ‘funzione’, in special modo la funzione svolta nella produzione: i gruppi sociali si formano intorno alla funzione che svolgono nella produzione economica. Questa è la base su cui si inserisce un altro elemento e cioè gli intellettuali. Infatti un gruppo sociale produce un tipo di lavoratore che gli dà «la consapevolezza della propria funzione non solo nel campo economico ma anche in quello sociale e politico». L’intellettuale è come la coscienza del gruppo sociale che lo ha prodotto.
Gramsci fa l’esempio dell’imprenditore capitalista, che è già egli stesso un intellettuale, il quale produce intellettuali nel campo tecnico, scientifico e culturale. In questo senso, il compito dell’intellettuale è relativo all’organizzazione e alla direzione, ma anche relativo alla creazione o al supporto della «fiducia» per esempio dei risparmiatori nelle sue aziende, o persino della fiducia dei compratori delle merci dell’industriale. Questo rientra nel compito intellettuale dell’imprenditore stesso il quale ha l’obiettivo di creare le condizioni necessarie all’espansione della sua classe.
D’altro canto, si deve anche notare che la classe dei contadini non produce intellettuali organici alla sua stessa classe, anche se costituisce un grande serbatoio per la creazione di intellettuali organici ad altre classi.
Primo punto: diversi gruppi sociali producono intellettuali diversi, organici ai vari gruppi.
2. Si deve notare però che quando un gruppo sociale nuovo emerge deve fare i conti con quegli intellettuali che pre-esistono alla sua formazione: sono quegli intellettuali che hanno un’esistenza quasi indipendente dai grandi mutamenti storico-sociali. Si tratta della categoria degli intellettuali tradizionali «che sentono con ‘spirito di corpo’ la loro ininterrotta continuità storica e la loro ‘qualifica’, così essi pongono se stessi come autonomi e indipendenti dal gruppo sociale dominante.» p.16
Allora gli intellettuali si dividono in due gruppi:
A. Intellettuali organici, perlopiù alla classe dominante;
B. Intellettuali che si credono autonomi, come i filosofi idealisti.
A questo punto, Gramsci pone la domanda che fa avanzare la comprensione ad un livello superiore: che cosa accomuna questi due tipi di intellettuale? Esiste un criterio unico che unifichi le diverse attività dell’intellettuale?
Per rispondere a questa domanda egli parte dal seguente principio: «Tutti gli uomini sono intellettuali, si potrebbe dire perciò; ma non tutti gli uomini hanno nella società la funzione di intellettuali.»p.17 Ecco che il termine funzione ritorna e diventa discriminante, descrittivo e apportando una precisione maggiore alla figura del lavoratore della mente.
Tutti siamo intellettuali e abbiamo una funzione sociale, ma per individuare l’intellettuale occorre soppesare, valutare in quale direzione «grava maggiormente il peso maggiore dell’attività specifica professionale.» Quindi, non possiamo parlare di non-intellettuali, infatti «non c’è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale, non si può separare l’homo faber dall’homo sapiens». Tutti gli uomini esercitano in qualche grado l’attività intellettuale ma questo non li rende intellettuali nel senso che non tutti nella loro attività produttiva svolgono maggiormente una funzione che impieghi principalmente le funzioni dell’intelletto.
Da questo si arriva all’altra questione: come creare un nuovo ceto intellettuale? Se tutti siamo in qualche misura intellettuali, se ogni gruppo sociale si crea i propri intellettuali cioè coloro che si occupano della coscienza del gruppo, come condizionare nel senso gramsciano un nuovo ceto di intellettuali? Dove si formano questi funzionari della mente?
Gramsci individua proprio nel fatto che in ognuno di noi esiste l’attività intellettuale e che non è possibile parlare di non-intellettuali il fulcro per la creazione del nuovo intellettuale, più specificamente si deve partire da ciò che egli chiama l’elaborazione critica dell’attività intellettuale. Si tratta di modificare il rapporto tra quest’attività e lo sforzo fisico [lo «sforzo muscolare-nervoso»]. Quest’ultimo rappresenta l’attività pratica generale che trasforma continuamente la realtà e che dovrà costituire la base di una nuova concezione del mondo stesso. In sostanza, Gramsci propone di abolire l’antica separazione tra la figura tradizionale dell’intellettuale, il «vero» intellettuale, e tutti gli altri. Egli vede dunque nell’educazione tecnica, strettamente legata all’industria, il terreno fertile alla nascita di questa nuova figura di intellettuale. E quali sono le caratteristiche che quest’ultimo deve avere? Egli dovrà «mescolarsi attivamente alla vita pratica» e sarà un costruttore, un organizzatore, un « persuasore permanente», e non darà importanza alla retorica e all’eloquenza.
Il nuovo intellettuale «dalla tecnica-lavoro giunge alla tecnica-scienza e alla concezione umanistica della storia senza la quale si rimane «specialista» e non si diventa «dirigente» (specialista+politico).»p.18 Il passo decisivo sta dunque nel superamento della specializzazione.
Per Gramsci la scuola è il luogo privilegiato di formazione degli intellettuali. Egli misura la complessità del mondo culturale si uno Stato osservando il livello di gerarchizzazione e di specializzazione raggiunto in esso, il che corrisponde anche all’estensione dell’area scolastica e alla moltiplicazione dei «gradi verticali» raggiunti dalla scuola. Inoltre, il rapporto tra scuola e intellettuali è rivelato anche dalla relazione che esiste tra la diffusione di un certo tipo di scuola presente sul territorio e il tipo di intellettuali prodotto nella stessa area. Inoltre «…la borghesia rurale produce specialmente funzionari statali e professionisti liberali, mentre la borghesia cittadina produce specialmente tecnici per l’industria.», p.20
Il rapporto tra gli intellettuali e il mondo produttivo non è un rapporto diretto ma esso è mediato dalle superstrutture. Abbiamo visto che l’intellettuale si definisce in base alla sua funzione, questa a sua volta determina il grado di organicità dell’intellettuale rispetto a un certo gruppo sociale. La soprasttruttura si divide in due grandi livelli:
1. la società civile e
2. la società politica.
La società politica svolge una funzione egemonica in funzione del gruppo dominante, ma ha anche una funzione di comando. Sia l’egemonia che il comando hanno una natura organizzativa e connettiva. La struttura presenta in alto il gruppo dominante che, per esercitare la sua funzione egemonica sulla società, impiega gli intellettuali, i quali non sono altro che «commessi» di quel gruppo.
L’egemonia sociale del gruppo dominante si realizza in due modi principali:
1a. attraverso il consenso spontaneo delle masse nei confronti dell’indirizzo impresso alla vita sociale dal gruppo fondamentale dominante, consenso che si basa sul «prestigio».
2a. attraverso l’apparato coercitivo dello Stato.
Un’impostazione di questo tipo ci un quadro della realtà in cui la funzione intellettuale è molto più ampia ed estesa di quanto non fosse la figura dell’intellettuale tradizionale. Inoltre questo modo di vedere implica una divisione del lavoro intellettuale stesso e una sua gerarchizzazione. Infatti, da un lato, l’apparato statale richiede impieghi di tipo manuale ed esecutivo e, dall’altro, la funzione intellettuale per sua stessa natura è divisa in gradi a cui estremi vediamo i creatori delle scienze, i filosofi, gli artisti e separati dagli amministratori e divulgatori «della ricchezza intellettuale già esistente, tradizionale, accumulata.», p.21
Infine, bisogna riportare che Gramsci aveva già osservato come l’estensione della categoria degli intellettuali avesse raggiunto nel suo tempo una ampiezza che egli considerava inaudita e la cui causa era stata da lui posta nelle necessità del gruppo fondamentale dominante, pur non avendo quella estensione nessuna giustificazione di tipo produttivo. In sostanza una grande massa di lavoratori intellettuali non faceva/non fa altro che sfruttare la sua posizione per accaparrarsi una buona fetta del reddito nazionale.
I criteri di dell’analisi gramsciani sono estremamente validi anche la categoria degli intellettuali oggi include certamente i pubblicitari, i lavoratori dello spettacolo (cinema+TV) [l’Occidente capitalista non avrebbe raggiunto gli stessi risultati contro il blocco del socialismo dell’Est se non ci fosse stato Hollywood], e il lavoratori del mondo dell’informazione, senza contare i lavoratori dell’IT. In definitiva la scuola non ha la stessa importanza che aveva al tempo di Gramsci, oltretutto gli stessi insegnanti risentono degli invasione delle tecnologia e dai settori summenzionati, tanto che la formazione della loro stessa coscienza non deriva unicamente dalla loro formazione scolastica. Fenomeni come l’uso diffuso e capillare dei dispositivi portatili, dei social network hanno una incidenza indiscriminata sulle masse e mettono in secondo piano, o almeno riducono di molto, il ruolo formativo della scuola e perfino della famiglia.
Detto questo, se si parte dall’analisi gramsciana si avanza di molto nella comprensione e nel ruolo dei lavoratori della mente, naturalmente integrando poi con letture più approfondite e più recenti. Ma l’impostazione di base e i criteri esposti sono essenzialmente validi.©MAURIZIO BISOGNO