Il vicolo cieco dell’intellettuale
Per creare un flusso di denaro occorrono che ci siano merci, infatti, è dallo scambio delle merci che nasce il denaro. EUREKA! Ecco una scoperta dell’uomo di Colombo! Ma che cosa fa sì che un articolo diventi merce? È il suo valore d’uso per un altro, in altre parole, se quell’articolo è utile a un individuo diverso dal produttore, esso diventa merce. Diventa scambiabile con un’altra merce di uguale valore. Se non ha questa caratteristica un articolo non può essere classificato come merce.
Ora pensiamo al prodotto del lavoro intellettuale. Esso si materializza, si oggettiva principalmente in un

pubblicazione, che può essere un libro, un articolo di giornale o rivista, una conferenza, un video, un film, una lezione, un e-book, un sito web, ecc. Allora per un lavoratore intellettuale, quale può essere un autore, per esempio, si potrebbe dire che la cosa più intelligente da fare sarebbe quella di scoprire che cosa desiderano leggere i suoi potenziali clienti e scrivere solo quelle cose che interessano loro. Ma se questo modo di essere fosse giusto, allora l’altra caratteristica degli intellettuali sarebbe valida, quella che dice gli intellettuali si vendono a chi ha il potere economico, cioè scrivono negli interessi dei gruppi che detengono i mezzi di produzione e il capitale finanziario. In altri casi, scrivono per massimizzare le vendite delle pubblicazioni che li ospitano, carpendo l’interesse dei lettori con mille trucchi che vanno dal sensazionalismo al pettegolezzo, dallo scandalo all’inchiesta a effetto, ecc. Chiaramente più si sale in alto nella classifica degli intellettuali, più l’asservimento è sofisticato.
Possiamo, d’altro canto, dire che l’intellettuale è un lavoratore al pari di un qualsiasi altro lavoratore, possessore di forza-lavoro, che pone come merce e che vende per un salario. Allo stesso modo in cui ci sono lavoratori che producono automobili, computer, case, ponti, insomma, tutte le merci che si trovano giro, così l’intellettuale produce la sua merce. Ma allora è proprio vero ciò? È questa la funzione degli intellettuali? Non c’è forse qualcosa che differenzia il loro prodotto dalle altre merci?
Il punto è che in un economia esclusivamente mercantile, se l’intellettuale non si fa merce non trova mezzi di sussistenza. Eppure capire il mondo e se stessi è altrettanto necessario alla sopravvivenza dell’uomo quanto lo è il nutrirsi, l’avere una casa e il vestirsi. Il fatto è che, quando si va a comprare un cappotto, per esempio, è anche abbastanza facile capire, nonostante ce ne siano un certa varietà, qual è quello giusto per noi. Per i prodotti della cultura, invece, la cosa sembra più complicata, infatti, mentre per usufruire dell’utilità di un cappotto mi basta comprarlo e indossarlo, non è possibile dire la stessa cosa per i prodotti intellettuali come i libri. In questo caso, non è sufficiente comprare il bene, l’articolo materiale, il libro, ma occorre che lo si legga e lo si capisca. Questo vuol dire che il valore d’uso, l’utilità del libro mi appare solo se sono disposto ad applicare il mio lavoro, se sono disposto a fare un sforzo mentale. In altri termini, nel comprare un libro non ho ancora soddisfatto il mio bisogno di comprensione, ma soltanto il desiderio di possedere un oggetto di consumo, una merce. In un senso molto preciso e rimanendo in un ambito mercantile, fintantoché delle persone comprano un libro, lo scopo è raggiunto; da questo punto di vista, non occorre affatto che l’acquirente lo legga per far funzionare l’economia. Il lato mercantile è soddisfatto dalla compravendita. Ma questa visione delle cose non migliora il mondo, anzi lo riduce, lo insterilisce, lo impoverisce.
Se i libri i comprano e non si leggono, non ha senso nemmeno scriverli – il prodotto intellettuale, qualunque sia la sua forma oggettiva, ha senso (acquista valore e significato) solo se lo si usa, e l’uso di un libro consiste in un lavoro, a sua volta, intellettuale, la sua fruizione dipende dalla lettura e dalla comprensione. Nell’acquisto materiale di un libro si entra subito in possesso del contenitore, non del contenuto, questo lo si ottiene, ripeto ancora, soltanto nell’atto della lettura e della comprensione. Se si compra una bottiglia di vino e non la si apre mai per berla, allora non si sta comprando vino, ma qualcosa d’altro. Se non si dei feticisti che senso ha comprare una bottiglia di vino che non si beve o un libro che non si legge?
Ma forse proprio qui sta il punto: il perno di tutto il sistema mercantile sta nel carattere di feticcio delle merci. In parole semplici, possiamo dire che al mercato non gliene può fregare di meno se si usa oppure no ciò che si compra, l’essenziale è che ci siano sempre merci disponibili e che ci siano acquirenti a cui basti solo credere che quelle merci soddisfino dei suoi bisogni, dei desideri. Appare evidente, allora, che in una società esclusivamente mercantile non c’è posto per un intellettuale degno di questo nome.
Insomma, per sopravvivere, l’intellettuale o si deve mettere al servizio di una forma di potere che lo asservisce, ma in questo caso la sua funzione è snaturata, degradata e ridotta al rango di megafono ripetitore, cioè egli è strumentale al potere che lo paga, oppure deve accettare di lavorare in un campo diverso dalla sua vera funzione, deve accettare di operare nel campo del lavoro manuale, in questo modo egli vende il suo corpo, ma non il suo intelletto, il suo vero sé, anche se poi questo ridurrà il tempo a sua disposizione per oggettivare la sua funzione intellettuale.
In altre parole, o l’intellettuale si prostituisce e quindi smette di essere tale, oppure deve vendere la sua forza lavoro fisica che possiede, ma conserva la sua funzione intellettuale con i suoi presupposti di libertà, integrità e onesta rendendo quel servigio che l’umanità gli richiede: l’indipendenza di giudizio.©Maurizio Bisogno
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