Un ricordo di gioventù
Maurizio Bisogno
Voglio ricordare qualcosa di semplice e coinvolgervi in questa mia rimembranza. Non so esattamente cosa andrò a scrivere, ma vi prego di seguirmi fino alla fine.
Quando scrivevo L’assente, ero trasportato lontano, immerso nel flusso di scrittura, senza pensare, le parole si susseguivano sulla pagina. Ora si avvicendano come pietre e non cadono come goccioline di rugiada. È che si cambia, cambiano le letture, le lingue, il paese in cui si vive, le attività, i sentimenti. Ma non me ne dispiaccio, infatti, l’importante è evolvere e lasciare che la scrittura segua il nostro percorso, cambiando con esso.
La maturità porta ritmi diversi; le attenzioni cambiano. La consapevolezza ci rende meno impavidi e più posati. Alcuni giudicano questo un processo regressivo, in cui il vigore giovanile viene soppiantato da una certa indolenza; si affievolisce la volontà di cambiare e si rafforza l’acquiescenza per la conservazione delle cose che già sono. Eppure, le cose cambiano continuamente per restare uguali. Adesso ci sono molti ricordi che emergono sollecitati da eventi presenti.
La cosa che mi viene subito in mente è che la dicotomia successo-fallimento ha perso valore per, invece ha preso forza l’idea della vita in sé: le cose valgono perché se ne fa esperienza e non perché le mettiamo sul piatto di una bilancia che ci rivela quanto successo abbiamo avuto. L’esperienza è un Giano bifronte, è una luna con due lati, è un connubio di forze opposte che non danno mai un esito solo positivo o solo negativo.
Pensa a quel desiderio che non hai potuto soddisfare in passato, quanto ti ha tormentato il non poter realizzarlo; ma pensa anche a quanto ti ha insegnato la rinuncia, a quanto ti hanno reso forte gli ostacoli, a come ora sai trovare l’equilibrio nella tempesta. Pensa a come le ansie del passato svaniscono e una tranquillità del vivere si impossessa dei tuoi giorni. Non è forse questa una tappa decisiva per la tua felicità?
Non so scrivere romanzi, non ho mai voluto scriverne. Ho scritto alcune storie brevi, ma non sono mai stato uno scrittore di intrecci, un costruttore di personaggi, un cesellatore di intrighi. Ho iniziato a scrivere con le poesie e il flusso di coscienza, quasi automatico. Mi sento poeta e filosofo; ma che parole grandi sono queste! Enormi. Massicci alpini che non si fanno possedere e non dicono di sé che sono tali. Essi sono e basta. Quindi, non sono né poeta né filosofo, ma uomo. Un piccolo uomo che è stupefatto di fronte ai misteri della vita emotiva, intellettuale e materiale, uno che non si capacita di quanto siano semplici le cose che ci rendono soddisfatti.
Eppure, c’è tanta povertà nel mondo. Tantissima. C’è tanta gente non ha di che vivere, che vive di pochissimo. Anche in quegli individui che vivono con meno del necessario, tuttavia, trovi la possibilità della gioia e dell’amore. L’essere umano, che resta tale, sa come scovare le piccole cose che lo rendono sereno, o anche felice. Certo, per chi vive nell’agio e nel vizio, per chi vive in una società basata sulla ricerca dell’espansione infinita di beni materiali, per chi vive nella brama sempre insoddisfatta di avere e consumare, non è facile capire come si possano vivere momenti di felicità e serenità avendo e consumando poco. Gli uomini si abituano a tutto, soprattutto all’agio, all’abbondanza di cibo, alle droghe, alle medicine, alle notizie, ai debiti, alla potenza militare, ai politici incapaci, agli schermi digitali; insomma, l’essere umano, se non ha principi e valori, è un essere estremamente adattabile – riesce a creare condizioni di vita che un paio di decenni indietro sarebbero state considerate disumane. Si fa strumento di tutto. Ossessionato dal desiderio di sopravvivere, si adatta a tutto, si trasforma, si piega, si limita, soffre e accetta i dettami della società in cui vive, soprattutto se quest’ultima è molto avanzata e lascia poco spazio – o nessuno – alle scelte individuali.
Più la società è tecnologicamente e industrialmente avanzata e più gli individui sono uguali fra di loro, meno sono liberi di scegliere. La creazione di standard è la rete costrittiva dell’uomo. Gli standard sono le maglie della rete d’acciaio che tiene insieme la società; questa, progressivamente e ineluttabilmente, diventa il terreno di gioco di poteri accentrati e forti che si costruiscono e si reggono saldamente sull’omologazione del pensiero e del sentire ma, soprattutto, dell’agire. L’omologazione dei comportamenti è lo scopo principali degli ingegneri delle nostre società. La normalizzazione dell’essere è l’obiettivo dei poteri forti; non potrebbe essere altrimenti, il gregge va tenuto nel recinto, va condotto e tenuto là dove vogliono i suoi pastori. Ma questa non è una novità, è stato sempre così. Sono cambiati però gli strumenti e gli obiettivi.
L’essere umano nella sua individualità è una creatura indicibilmente ricca e interessante, capace di ascendere e di evolvere, di gioire e di amare, di creare e distruggere, insomma, vale la pena essere Uomo. Ma omologato in una massa rigidamente organizzata, ridotto a una serie di comportamenti uguali per tutti, diminuito al minimo delle sue potenzialità, lobotomizzato e senza individualità, esso diventa un mostro.
Ecco, mi fermo qui ben sapendo che mi sono lasciato un po’ trasportare dagli sviluppi di quello che voleva semplicemente essere un ricordo di quando scrivevo da giovane. Buona giornata!