La ragione soggettiva e la ragione oggettiva.

Da Eclisse della ragione Max Horkheimer, l’importantissima distinzione tra ragione soggettiva e ragione oggettiva. La ragione strumentale ha eclissato la possibilità di resistere e creare.

La ragione strumentale

Le tesi di Horkheimer nel capitolo “Mezzi e fini” da Eclisse della ragione, Critica della ragione strumentale.

Il concetto di razionalità nella cultura industriale

Farsi la domanda “Che cos’è la ragione?”, interrogarsi sul concetto di ragione è forse superfluo? Forse che diamo per scontata la risposta?

La forza che in ultima analisi rende possibili azioni ragionevoli, e la facoltà di classificare, la facoltà di induzione e di deduzione, cioè il funzionamento astratto del meccanismo del pensiero, sempre identico quale che sia il contenuto specifico. Questo tipo di ragione si può chiamare ragione soggettiva. p11

La ragione soggettiva si occupa dei mezzi e del modo in cui si arriva a uno scopo ma non dei fini stessi.

L’idea che un fine possa essere ragionevole in sé – in forza di virtù che conosciamo che esso possiede in sé – indipendentemente da un qualche vantaggio soggettivo, è completamente estranea alla ragione soggettiva anche quando, sollevandosi al di sopra della considerazione dei valori immediati utilitari, essa tiene conto dell’interesse della società nel suo complesso. p12

Grandi sistemi filosofici come quelli di Platone, di Aristotele, la filosofia scolastica e l’idealismo tedesco furono impostati sulla base di una teoria oggettiva della ragione. Partendo da questa si era cercato di stabilire una gerarchia di tutti gli esseri in cui erano compresi l’uomo e i suoi fini. Il grado di ragionevolezza di una vita umana dipendeva dalla misura in cui essa si armonizzava con la totalità; e la struttura oggettiva di questa – non solo l’uomo e i suoi fini doveva rappresentare la pietra di paragone per saggiare la ragionevolezza dei pensieri e delle azioni individuali. p12

C’è una differenza fondamentale tra questa teoria, secondo la quale la ragione è un principio immanente alla realtà, e la dottrina secondo la quale la ragione è una facoltà soggettiva della mente… La ragione soggettiva è la capacità di calcolare le probabilità e di coordinare i mezzi adatti con un dato fine. Nell’ambito della concezione soggettivistica quando si parla di ragione si vuole dire che l’oggetto o il concetto sono buoni per qualcos’altro. Nessun fine e ragionevole in sé, e non avrebbe senso cercare di stabilire quale, di due fini sia più ragionevole dell’altro. p13

Ragione soggettiva e ragione oggettiva non hanno storicamente presentato sempre un carattere di opposizione e il predominio della ragione soggettiva è il risultato di un processo storico che ha portato alla società industriale.

La crisi odierna della ragione consiste fondamentalmente nel fatto che a un certo punto il pensiero è diventato incapace di concepire una tale oggettività, o ha cominciato a negarla affermando che si tratta di un’illusione. p14

Soggettivizzandosi, la ragione si è anche formalizzata. p14

Questo vuol dire che il pensiero può servire per qualunque scopo, buono o cattivo. È uno strumento di tutte le azioni della società. p15

Nella maggior parte dei casi, essere ragionevoli significa non essere ostinati, cioè adattarsi alla realtà così com’è; il principio dell’adattamento si dà per scontato. p16

Ma i primi filosofi quelli che concepirono l’idea di ragione pensarono che essa potesse servire a qualcosa di più che non semplicemente a regolare i rapporti tra mezzi e fini; essi considerarono la ragione uno strumento capace di comprendere i fini e addirittura di stabilirli.

L’antico filosofo greco Socrate, che visse ad Atene nel V secolo a.C., è famoso per la sua convinzione che la ricerca della verità attraverso la ragione sia la chiave per vivere una vita pregnante di senso. A suo avviso, la ragione è uno strumento per acquisire consapevolezza di sé e per comprendere il mondo che ci circonda. Questa idea era in netto contrasto con le opinioni dei sofisti, che erano un gruppo di insegnanti e intellettuali itineranti attivi ad Atene in quel momento.

I sofisti credevano che la verità fosse relativa e che fosse impossibile raggiungere una conoscenza oggettiva. Invece, hanno sostenuto che le persone potressero usare la loro ragione per manipolare gli altri e raggiungere i propri obiettivi. Questa opposizione tra ragione come mezzo per raggiungere la conoscenza e ragione come mezzo per manipolare il mondo è continuata lungo tutta la storia del pensiero occidentale ed è ancora evidente nella filosofia contemporanea.

Anche se l’opposizione storica tra i due concetti di ragione è riconducibile agli antichi greci, essa ha continuato ad evolversi e ad assumere nuove forme nel corso dei secoli. Durante l’Illuminismo, ad esempio, l’idea della ragione come mezzo per raggiungere la conoscenza fu sostenuta da figure come Immanuel Kant e Jean-Jacques Rousseau. Questi pensatori credevano che la ragione fosse un principio oggettivo che poteva essere utilizzato per determinare la verità sul mondo e per guidare il comportamento umano.

Al contrario, il movimento romantico del XIX secolo ha visto una rinascita dell’idea che la ragione fosse un mezzo per manipolare il mondo. Anche pensatori come Friedrich Nietzsche e Arthur Schopenhauer sostenevano che la ragione fosse uno strumento che le persone usavano per giustificare le proprie azioni e per imporre la propria volontà sugli altri.

La distinzione tra ragione soggettiva e oggettiva continua a svolgere un ruolo centrale nella filosofia contemporanea. Negli ultimi decenni, la crisi della ragione è diventata sempre più evidente, poiché molti filosofi hanno messo in dubbio la capacità della ragione di fornire un solido fondamento alla conoscenza e all’etica. Alcuni sostengono che la ragione sia un’illusione, mentre altri sostengono che sia un principio oggettivo che viene semplicemente ignorato o abusato nella cultura contemporanea.

“Nei sistemi filosofici della ragione oggettiva era implicita la convinzione che si potesse scoprire una struttura fondamentale comprensiva di tutta la realtà e che da questo si potesse dedurre una concezione del destino umano”. p18

Alla fine di questo lungo processo che va dagli antichi fino ai giorni nostri il risultato è che oggi è sempre minore il numero delle cose che si fanno senza un secondo fine. Per la ragione formalizzata, un’attività è ragionevole solo quando serve a un altro fine, per esempio, a quello della salute o del riposo e quindi a migliorare l’efficienza e la capacità di lavoro di colui che vi si dedica. In altre parole, l’attività è solo uno strumento in quanto trae il proprio significato dal rapporto con altri fini. Quindi la società del ventesimo secolo non è turbata dalle contraddizioni dei secoli passati …in quanto per essa oggetti ed azioni hanno significato solo quando ed in quanto servono per raggiungere un certo scopo.

Se prendiamo l’esempio dei piaceri vediamo che essi vengono incasellati nelle categorie dei divertimenti, delle attività del tempo libero, dei contatti sociali, eccetera. La realtà e il piacere non hanno un significato intrinseco. Anche gli hobby dunque sono un’istituzione perché sono predilezioni ammesse e razionalizzate, considerate necessarie per tenere la gente di buon umore. Ma c’è anche un altro aspetto: si è sviluppata la capacità di afferrare rapidamente i fatti, capacità che ha sostituito l’altra cioè l’abilità di penetrare intellettualmente i fenomeni dell’esperienza.

La trasformazione di tutti i prodotti dell’attività umana in beni di consumo si ebbe solo con il sorgere della società industriale. Il pensiero moderno ha cercato di costruire su queste basi una dottrina filosofica cioè il pragmatismo. Il pragmatismo è il riflesso di una società che non ha tempo di ricordare né di meditare. In questo mondo la probabilità o meglio la calcolabilità prende il posto della verità, e il processo storico che tende a fare della verità una frase vuota nella società è per così dire consacrato dal pragmatismo che ne fa una frase vuota in filosofia. Questa teoria abolisce il pensiero filosofico pur essendo ancora un qualche pensiero filosofico. Il filosofo pragmatista ideale sarebbe colui che, come vuole l’adagio latino, rimane in silenzio. Il pragmatismo riflette l’industrialismo moderno per il quale la fabbrica è il prototipo dell’esistenza umana e il lavoro in tutti i campi dell’attività culturale deve essere modellato sulla produzione a catena o sui metodi di direzione razionalizzata.

In questo senso il pensiero deve essere valutato in base a qualcosa che non è pensiero, in base cioè al suo effetto sulla produzione o sulla condotta sociale, nello stesso modo come l’arte oggi…p49

Il pragmatismo è stato inventato per negare la differenza tra il modo di pensare proprio del laboratorio e quello proprio della filosofia, e quindi la differenza fra la destinazione della umanità e la sua esistenza presente.p51

Per essere un uomo intelligente non basta saper ragionare in modo esatto: intelligente è l’uomo la cui mente è aperta alla percezione di contenuti oggettivi, colui che sa vederne le strutture essenziali e renderle in linguaggio umano; questo vale anche per la natura del pensiero in quanto tale e per il suo contenuto di verità. p52 La ragione è stata degradata a strumento che si interessa al come e non al che, e dunque essa diventa buona solo a registrare dati. Come in un paradosso, la ragione soggettiva soggettivaizzandosi perde la sua soggettività.

“Oggi la filosofia deve affrontare il problema se il pensiero possa rimanere padrone di se stesso in questo dilemma è così preparare la soluzione teoretica di esso, o se deve accontentarsi di sostenere la parte di una vuota metodologia, di un’apologetica illusa o di una medicina di validità garantita, come l’ultimo misticismo popolare di Huxley, che nel “brave new world” si inserisce tanto bene quanto qualsiasi altra tecnologia preconfezionata.

[I numeri delle pagine di riferiscono all’edizione italiana, Einaudi Paperback 7, del 1972]