Scegliere di lavorare da remoto è davvero una nostra scelta?
Quando ci troviamo di fronte a delle scelte importanti dobbiamo e vogliamo prendere decisioni consapevoli, evitando di soggiacere alle idee dominanti, siamo costretti a un costante esercizio di riflessione critica. Porre domande su valori, benefici, pressione sociale e pregiudizi aiuta a decostruire le narrazioni che perpetuano disuguaglianze e ingiustizie. Sfidare lo status quo non è facile, ma è fondamentale per vivere in modo autentico e contribuire a un cambiamento positivo, personale e sociale.
Quando penso alla possibilità di lavorare da remoto e trasferirmi in Italia, mi rendo conto che, anche se sembra una mia scelta personale, in realtà è influenzata dalle idee dominanti della nostra società. Viviamo in un’epoca in cui la flessibilità lavorativa è vista come un valore fondamentale, quasi un sinonimo di libertà e autonomia. Ma mi chiedo: questa narrazione è davvero così libera come sembra, o è una risposta alle esigenze del capitalismo moderno?
Il fatto che oggi il lavoro remoto sia così diffuso deriva da una logica economica che privilegia la produttività costante e la mobilità, riducendo il concetto di lavoro fisico a una semplice questione di funzionalità ed efficienza. Quindi, anche se l’idea di trasferirmi in Italia e lavorare da remoto mi attrae molto, mi domando quanto sia davvero una mia scelta autentica e quanto invece sia il risultato di una spinta più grande: l’idealizzazione della flessibilità, la tecnologia che ci tiene sempre connessi e la necessità di essere costantemente produttivi, ovunque ci troviamo.
Mi chiedo se questa tentazione nasca davvero da un mio desiderio profondo o se risponda a un’idea imposta, quella che la libertà e il successo si raggiungano meglio con la massima flessibilità, anche a costo di perdere il contatto con l’ambiente fisico e con una comunità lavorativa concreta.
Porsi domande critiche è fondamentale per evitare di soggiacere alle idee dominanti e agire in modo autentico. Chiedersi, ad esempio, “Chi beneficia da questa decisione?” o “Sto agendo per libera scelta o per pressione sociale?” permette di riconoscere influenze esterne e pregiudizi inconsci. Riflettere su “Questa scelta promuove l’uguaglianza?” o “Questa decisione mi libera o mi incatena?” aiuta a valutare se le proprie azioni contribuiscono al cambiamento o perpetuano lo status quo. In sintesi, il pensiero critico favorisce l’autonomia, la giustizia sociale e la coerenza tra valori e azioni.
Ho preparato una serie di quattordici domande da porsi quando si è di fronte a una scelta importante, se vi interessa conoscerle, fatemelo sapere e ve le passo.
Ma voi che cosa ne pensate?