Come si possono debellare le conflittualità

‘Bisogna avere pazienza’ è un suggerimento che riguarda la psicologia. Se dico ‘Io so che bisogna avere pazienza’, l’affermazione non è più nel campo della psicologia. ‘Bisogna avere pazienza sempre’ riguarda il comportamento (proposizione normativo—sociale). Ma posso chiedermi «Come sono pervenuto a questo tipo di conoscenza?». Le esperienze negative della mia vita mi hanno spinto a una reazione più o meno violenta che, però, non ha sortito effetti positivi, anzi nella maggior parte dei casi queste reazioni hanno peggiorato, per esempio, il giudizio che veniva dato su di me. Avere pazienza richiede dominio di sé e autocontrollo. Sembra che il dominio di sé sia una qualità. Diciamo allora che e la considerazione della mia esperienza vissuta, in questo caso,che mi fa dire che, in una dimensione sociale, il comportamento corretto è «Bisogna avere pazienza». Ma qualcun altro potrebbe dire: «Bisogna reagire con forza», e l’atteggiamento della persona paziente viene visto visto come quello di una persona debole, incapace cioè di imporre la propria volontà. Giungiamo qui al ben noto conflitto di volontà.

La realizzazione di sé coincide anche con la realizzazione della propria volontà. La vita sociale impone necessariamente dei limiti alla volontà di ciascuno. Il grado di sofferenza (psicologica) è direttamente proporzionale alla negazione della volontà individuale. Se però questa limitazione si inserisce in un progetto cosciente la frustrazione si limita alla parte di questo progetto che non si riesce a realizzare. Nelle misura in cui il primo progetto corrisponde al progetto collettivo in cui si opera, esso è più facilmente realizzabile. Il problema sorge appunto nel caso in cui il progetto personale diverge da quello del gruppo. L‘individuo in questo caso è sottoposto a uno sforzo enorme senza che ciò garantisca dei risultati. Ad ogni modo la posizione gregaria favorisce il gruppo; l’individuo sacrifica la propria volontà e guadagna in diminuzione di conflitti. Ma perché mai un individuo sceglie una progettualità che diverge dal disegno collettivo? Non è affatto automatico che una collettività abbia un unico poggetto. In un senso molto immediato si può dire che maggiore è l’estensione del gruppo e minore è la rosa comune di valori. Se, per esempio, l‘istruzione è un valore per la stragrande maggioranza di una collettività e la ricerca sfrenata del piacere sessuale è l’obiettivo di una minoranza di quella stessa collettività, in base a che cosa ciò accade? In questo senso una scala di valori esiste e, a maggior ragione, nella situazione di villaggio globale creata dalla estensione ramificata dei mezzi di comunicazione che, senza muovermi dal luogo in cui vivo, mi permette di sapere ciò che vale per società o gruppi sociali a migliaia di chilometri di distanza. Anche per questo, la ricerca spasmodica di essere gregario coesiste con i rischi che essa comporta. Più che l’affermazione del sé, la dimensione globale induce alla ricerca dell’appartenenza, dell’adesione e dunque alla riduzione conflittualità — oppure ad una scelta di campo motivata dalla sicurezza che questa offre in virtù della forza che esprime il proprio gruppo. È assai probabile che all‘individuo isolato si richieda molta più pazienza.

D’altra parte, maggiore è la consapevolezza di ciò che riguarda l’uomo e maggiore è il ventaglio di valori che costituiscono il progetto collettivo. Possiamo affermare che il bisogno di una comunione di valori affondi le radici nel desiderio della coesistenza pacifica. È quasi impossibile che un fumatore viva serenamente in un appartamento accanto a un non fumatore intransigente. Com’è possibile far convivere pacificamente qualcuno che ascolta la musica a tutto volume con qualcuno altro che studia un testo di fisica nucleare? Come possono coesistere pacificamente nello stesso gruppo coloro che vogliono risolvere i problemi con lo sforzo razionale e quanti considerano unicamente l’uso della violenza? L’esistenza di punti di vista opposti richiede diverse spiegazioni ma quel che è certo è che è solo nel desiderio di eliminare la conflittualità che si cercano soluzioni — altrimenti soluzioni non se ne cercano.

La mia domanda allora è la seguente: «È veramente possibile debellare i conflitti?» oppure: «L’essere stesso della vita prende forma proprio nell’insorgere del conflitto di forze contrastanti?» In realtà, se guardiamo al flusso di informazioni che ci pervengono, anche come semplici spettatori di Tg, o lettori di giornali, ci viene dato osservare una miriade di conflittualità, piccole e grandi che siano. Si direbbe che l’umanità non va verso la pace. Se uno Stato s’impone su di un altro, oppure risolve in altro modo i conflitti, altri se ne scoprono con altri Stati, ma anche all’interno dello stesso Stato «vincitore» permangono conflitti, e poi all’interno dei gruppi di una stessa collettività, all’interno della coppia, nell’individuo isolato esistono conflitti… Allora forse il punto non è l’eliminazione dei conflitti, ma il rafforzamento della resistenza alla vita intesa come conflittualità permanente. MB. © di Maurizio Bisogno
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