Da Veltroni a Renzi: l’apogeo del capitalismo di sinistra
Hanno fatto più danni loro alle classi lavoratrici di quanti ne abbia potuti fare Berlusconi & Co. e ve lo dimostro in questo articolo, in cui mi prometto di citare solo una volta ancora questi due personaggi di dubbio valore intellettuale e, purtuttavia, disastrosamente importanti per le cariche istituzionali che hanno rivestito o che rivestono tutt’ora.
Vorrei partire dal rinnovato interesse per Karl Marx sia in ambienti accademici sia in varie pubblicazioni di notevole popolarità, eccetto forse tra le persone che dovrebbero essere direttamente interessate al tema, cioè le classi lavoratrici. La «Marxologia» dunque è praticamente una moda intellettuale soprattutto nel mondo accademico, oltre a includere tutti i vari tentativi di utilizzare le scoperte marxiste a scopo capitalistico. All’interno di questa moda, si osserva chiaramente uno spostamento che consiste nel passaggio dal marxismo come teoria rivoluzionaria al marxismo come una teoria evoluzionistica. Nel corso dei prossimi paragrafi vedremo meglio le conseguenze di questo spostamento interpretativo.
Quale che sia la teoria, bisogna dire subito che l’isolamento degli individui e il controllo massiccio dei rapporti sociali non permettono praticamente nessuna azione concreta di tipo anti-capitalistico.
Confinando, infatti, il marxismo nel mondo accademico, il capitalismo ne annulla la rischiosità poiché si risolve in uno scambio di idee ingabbiato; questo dibattito è monco, infatti è privo del carattere fondamentale del pensiero marxista che è il rapporto tra teoria e pratica; non a caso, Gramsci usava il termine ’filosofia della prassi’, una prassi che ha uno scopo preciso: la distruzione del sistema capitalistico. In questo senso, morto il capitalismo muore anche il marxismo.
La società «borghese» rendendo innocuo il marxismo e sganciandolo dai movimenti sociali attivi, si crea una maschera di correttezza e tolleranza nei confronti di questo «fenomeno culturale». Il carattere teorico-pratico del marxismo viene così interrotto e svuotato di senso grazie proprio ai suoi intellettuali.
L’aspetto pratico della teoria marxista è certamente la politica, ma a che cosa assistiamo ormai da troppo tempo? Allo spettacolo di partiti di «sinistra» che coltivano religiosamente l’illusione di una riformabilità del capitalismo e che assumono opportunisticamente una politica riformista, appunto, ma che ha un carattere peculiare, soprattutto se si pensa alle loro origini marxiste: una politica che vuole rimanere nel capitalismo e che di fatto lo sostiene, facendosi paladina di un’economia mista all’interno di una democrazia borghese. Perché questi partiti si collochino a sinistra non si capisce bene.
In un contesto storico come il nostro, il fulcro del cambiamento sta sicuramente nella lotta per l’aumento dei salari, in quanto questa è l’espressione della lotta tra capitale e lavoro. I partiti di sinistra si fanno forse portatori di questo obiettivo? A voi la risposta.
Possiamo dire con pacata preoccupazione che non solo i partiti «borghesi» di destra, ma anche e soprattutto i partiti di sinistra sostengono lo sforzo del capitale di evitare le crisi o di uscirne e così il panorama politico è compatto dietro una politica oppressiva che si oppone al cambiamento dei rapporti di produzione e in primo luogo agli aumenti dei salari. Questo vuol dire, semplicemente, che le rivendicazioni di coloro che lavorano non potranno mai essere soddisfatte, indipendentemente da governi di destra o di sinistra.
Va detto che siamo coscienti del fatto che cambiamenti radicali possono derivare soltanto dalla pura necessità. Le classi dominanti sono estremamente solidali a livello mondiale, pertanto il loro controllo della società si esercita attraverso la forza e i vari meccanismi di controllo sociali e culturali, mediante l’indottrinamento travestito da intrattenimento e grazie anche ad un sistema educativo acquiescente. In questo contesto nazionale e mondiale, qualsiasi forma di opposizione organizzata e seriamente attiva contro il sistema viene soffocata sul nascere.
Sempre in questo quadro, bisogna tener presente che «l’analisi marxista della produzione capitalista e delle sua peculiare e contraddittoria evoluzione per mezzo dell’accumulazione è l’unica teoria che è stata confermata empiricamente dallo sviluppo capitalista.» La concentrazione del capitale è un dato di fatto come pure la progressiva centralizzazione del potere politico. Tuttavia, cresce anche il numero di coloro che non riescono ad assicurarsi un’esistenza economica degna di questo nome. Mentre il potere delle classi dominanti si accresce in maniera evidente. Appare chiaro, quindi, che soltanto se le classi lavoratrici riusciranno a eguagliare, a contrastare in maniera organizzata quel dominio e a difendere i loro interessi di classe, solo allora potranno sperare di non pagare un prezzo ancora più alto di quello che stanno già pagando.
A rendere il quadro ancora più negativamente interessante c’è la tendenza propria del capitalismo alla guerra che può, ora più che mai, sfociare in un conflitto nucleare, infatti, la fine della guerra fredda ha aumentato le possibilità di questo tipo di conflitto, annullando quel deterrente costituito dal mutuo terrore di una distruzione dei continenti coinvolti. Senza dimenticare poi che il capitalismo ha una propria tendenza all’autodistruzione che si manifesta sia nella ricorrenza di crisi e recessioni sia nelle guerre che esso scatena continuamente.
Come non vedere,quindi, che il socialismo, individuando nei rapporti di produzione capitalistici l’origine della miseria sociale e dell’imbarbarimento, è l’unica vera alternativa alla distruzione del mondo? Il dramma che acceca sta nel fatto che sia i dominatori, sia i dominati hanno scolpito nella loro mente la convinzione che le leggi del capitalismo sono leggi naturali. Essi si rifiutano di considerare il sistema capitalistico come STORICAMENTE DETERMINATO, al contrario, lo considerano eterno e naturale e, di conseguenza, l’unica azione possibile che ci resta è quella dell’ADATTAMENTO. Questa è PURA IDEOLOGIA.
Questa è l’ideologia promossa dal capitalista, in quanto essa assicura lo sfruttamento del lavoro a vantaggio del capitale. È un indottrinamento necessario per assicurarsi la sopravvivenza del capitalismo, ma è pur sempre INDOTTRINAMENTO che inculca nella mente degli individui il concetto di immutabilità dei rapporti di produzione esistenti come LA RAPPRESENTAZIONE esatta del MONDO REALE.
Le condizioni capitalistiche di produzione e la sua ideologia forzano le classi lavoratrici ad accettare il proprio sfruttamento come la migliore condizione possibile e la più naturale; questo è l’unico modo per soddisfare i tuoi bisogni immediati, ti dicono.
Il lavoratore si trova allora, da un lato, di fronte alla necessità di soddisfare i suoi bisogni immediati – che può ottenere solo restando nell’attuale modo di produzione capitalistico, cioè facendosi sfruttare – e, dall’altro, è messo di fronte alla coscienza di questo stato di cose, alla coscienza di un sistema che lo sfrutta, di fronte a sentimenti e idee anti-capitalistici. Questa dualità del suo essere, che di per se stessa rappresenta un conflitto negativo, si scontra poi con l’enorme potere della classi dominanti schierate contro i lavoratori stessi: i poteri delle classi dominanti non esitano a minacciare la distruzione di chi si oppone loro seriamente.
Da questa condizione, il lavoratore è spinto al riformismo come da un atteggiamento «realista», che si impossessa della mente dei lavoratori, i quali si dicono: la nostra capacità di azione è molto limitata dallo strapotere economico, militare e politico della classi dominanti. In conclusione, non c’è teoria che tenga, nemmeno la teoria marxista rivoluzionaria se essa rimane tale, cioè una descrizione semplificata della realtà.
È solo dalla necessità che può sorgere un’azione radicale di cambiamento.
Le teorie rivoluzionarie, anche quelle marxiste, hanno sottovalutato la capacità del capitalismo di assorbire le proprie contraddizioni, sopravvivendo a queste senza che si disfacesse il sistema nella sua totalità, senza farsi abbattere dalle ideologie che lo criticano – infatti, il capitale sa che non sono le ideologie ma le necessità che muovono le masse – oltretutto il sistema capitalista ha saputo assorbire le ideologie critiche rendendole innocue, trasformandole in «fenomeni culturali», dibattiti accademici o dando vita a Veltroni e Renzi.
In chiusura: il capitalismo sopravviverà fino a quando sarà capace di fornire le seppure minime forme di sussistenza alle classi lavoratrici, sempre che esse continuino a credere che l’essere sfruttati è una condizione naturale e non una condizione storica. Tuttavia, quando quelle classi saranno costrette a trovare una soluzione alla propria sussistenza al di fuori dei rapporti di produzione capitalistici, allora si vedrà la fine del capitalismo oltre che del marxismo.
©MAURIZIO BISOGNO
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