Articolazione della seconda domanda: Qual è la natura del mondo fuori del soggetto conoscente?
Articolazione della seconda domanda:
Qual è la natura del mondo fuori del soggetto conoscente? Qual è la sua essenza?
©Maurizio Bisogno 2017
I filosofici presocratici, noti anche come i filosofi naturalisti, indagano la natura, osservano il mondo al fine di conoscere la sua essenza e le leggi che lo governano. In questa fase della riflessione filosofica c’è una caratteristica che accomuna le varie ricerche ed è questa: il desiderio di trovare un sostrato comune alla molteplicità delle cose, dell’essere, dell’apparire. Il percorso qui iniziato viene continuato da Platone con la teoria delle idee e da Aristotele con la sua fisica. Entrambi hanno in comune il non fermarsi all’apparenza dell’essere creando una spiegazione che va al di là delle cose fisiche, producendo pertanto una metafisica.
Il medioevo e il rinascimento continuano questo lavoro di osservazione sul mondo fino a giungere alla svolta positivista che segue come una logica conseguenza il periodo dell’illuminismo. Nascono la chimica, la fisica newtoniana, le concezioni copernicane e galileane fino a giungere alla fisica atomica e quantistica. Questo sguardo supersonico solo per puntellare alcuni momenti basilari dell’attività di studio del mondo esterno e che tenta di dare una risposta alla domanda sulla natura del mondo, su cosa c’è effettivamente fuori della coscienza e le leggi che regolano la materia. Quindi potremmo anche riformulare o estendere la seconda domanda in questo modo: che cosa possono conoscere del mondo fuori di me? Che cosa c’è? Di cosa è fatta la materia? E potremmo aggiungere: come sono fatte e strutturate e come funzionano le società umane?
Insomma la seconda, quella sul mondo, compre la maggior parte delle attività conoscitive, la scienza e gli altri saperi. Si tratta di un campo di conoscenza vastissimo che si è ramificato in numerosissime discipline, sempre più specializzate.
Ciò che occorre ritenere però è che ognuno di queste discipline nasce e progredisce soltanto a partire da una domanda a cui poi la sua attività di ricerca cercherà di rispondere. È nella domanda iniziale e in quelle successive che si stabilisce l’oggetto di studio e la direzione. È lo scienziato o il ricercatore che si fa filosofo che scatena nuovi campi di ricerca e di progresso. Quando il fisico si mette a studiare la materia e le sue leggi ha in mente un domanda innanzitutto metafisica; questo vale per la chimica, per l’astronomia e per tutte le altre discipline scientifiche. Lo scienziato che non fa questo è un tecnico, un impiegato, un operaio della scienza. Quando lo scienziato ferma la sua attività di routine e inizia a pensare la domanda a cui cerca di rispondere, quindi al metodo e al fine del suo lavoro, ritorna filosofo ed è questo che poi imprime il corso del suo procedere.
La conoscenza sul mondo esterno offre all’uomo il potere di trasformarlo. Anzi, se consideriamo tutta l’attività umana possiamo caratterizzarla tramite una sola parola: trasformazione. Più egli conosce la materia e le sue leggi e più si applica a trasformarla. Questa tendenza da vita alla molteplicità delle attività lavorative di cui egli è capace. L’uomo vive trasformando il mondo, producendo ciò di cui ha bisogno per vivere e molto di più. L’uomo non trova in natura la soddisfazione dei sui bisogni, ma deve sempre trasformare, quindi lavorare, per produrre ciò di cui ha bisogno.
Questa conoscenza si trasforma dunque in tecnologia anche se quest’ultima sembra procedere indipendentemente dal pensiero filosofico. Il tentativo sempre più riuscito di affrancarsi dal pensiero filosofico, condurrà per forza di cose all’autodistruzione della tecnologia e in ultima analisi del sapere scientifico: la conoscenza del corpo umano si trasforma in tecnologia del DNA che potrà facilmente creare dei mostri.
Perché non si comprende l’importanza della domanda filosofica? Perché in genere si confonde la conoscenza con la tecnica, si identifica il sapere con il potere, senza considerare che se si abbandona la forza originaria che è causa del sapere, si perderà anche la tecnica. Per fare un’analogia illustrativa molto semplice: se è vero che la musica richiede la conoscenza della tecnica esecutiva e compositiva, essa non vivrebbe a lungo se si riducesse a quest’ultima. Oppure: se la medicina non avesse un fine che va al di là della tecnologia che essa impiega, non sarebbe più un sapere medico. Lo stesso pensiero filosofico nelle accademie viene spesso ridotto a una semplice tecnica e, quando ciò accade, siamo anche di fronte alla sua scomparsa.
In conclusione, la risponda alla seconda domanda, cioè quella che si interroga sul mondo esterno all’uomo, non può arrestarsi e lasciare che le varie discipline scientifiche se ne occupino indisturbate. La filosofia deve continuare a porre la domanda, a riflettere sui fini e sui metodi, altrimenti la tecnica rimarrà un organismo acefalo. ©Maurizio Bisogno 2017