Siamo viandanti verso la morte in un viaggio apologetico dell’esistenza

Vi invito a leggere un articolo che sonda le profondità della nostra esistenza, un viaggio tra pensieri che abbracciano la filosofia esistenzialista e fenomenologica con la stessa intensità di un poema epico. “Siamo viandanti verso la morte: un’apologia dell’esistenza” non è solo una riflessione sulla morte, ma una celebrazione della vita, scritta con uno stile e una potenza evocativa, oserei dire, avvincenti.

Questo testo vi catturerà fin dalla prima riga, trascinandovi in un vortice di considerazioni che stimoleranno la vostra mente e la vostra anima. Scoprite come la consapevolezza della nostra finitezza possa diventare la chiave per vivere autenticamente. Non perdete l’opportunità di immergervi in una lettura che promette di arricchirvi e, chissà, di cambiarvi.

Buona lettura! Gioite!

Siamo viandanti verso la morte in un viaggio apologetico dell’esistenza

L’esistenza è un viaggio, un lungo e inesorabile cammino che intraprendiamo non appena siamo gettati nel mondo, un percorso la cui meta è la morte. Non è una fuga né una fine, ma una destinazione che ci accoglie, paziente, alla fine del nostro andare. Da quando apriamo gli occhi alla luce, iniziamo questa marcia silenziosa e incessante verso l’ignoto, verso quel traguardo che, paradossalmente, è l’unica certezza di cui siamo dotati. La morte ci attende, serena, e proprio in questa attesa si cela il senso più profondo della nostra esistenza.

Immaginate di essere immortali. Pensate a cosa significherebbe vivere in un tempo che non finisce, in un eterno ritorno dell’uguale. La perpetua ripetizione delle stesse azioni, degli stessi giorni, degli stessi dolori e delle stesse gioie diventerebbe un fardello insopportabile. Se non ci fosse la certezza della morte a delimitare i nostri giorni, come potremmo trovare la forza di andare avanti? Senza la morte, la vita perderebbe il suo sapore, il suo significato, la sua urgenza. L’immortalità, lungi dall’essere una benedizione, sarebbe una condanna, un’agonia infinita. Vivremmo senza la scadenza, e proprio per questo, senza senso. È nella consapevolezza della fine che la vita trova la sua forma più pura e potente.

Nietzsche ci insegnò a guardare negli occhi l’abisso, a non temere il nulla che ci aspetta, ma a trarre da esso la nostra forza più grande. Egli proclamava che “bisogna avere il caos dentro di sé per partorire una stella danzante”, e quale caos più profondo e primordiale esiste della certezza della morte? La morte è quel caos che dà forma alla nostra vita, che plasma ogni nostra scelta, ogni nostro gesto, ogni nostro pensiero. Senza la consapevolezza del nostro essere-per-la-morte, per usare le parole di Heidegger, saremmo ridotti a semplici marionette, privi di autenticità, incapaci di vivere una vita degna di essere vissuta.

Siamo viandanti. Alcuni di noi camminano a piedi nudi, sentendo ogni sasso, ogni asperità del cammino; altri volano veloci, cercando di sfuggire all’inevitabile. Ma tutti, nessuno escluso, siamo diretti verso lo stesso luogo, lo stesso punto d’arrivo. Non importa con quale mezzo, non importa la velocità, non importa nemmeno il percorso che scegliamo: ciò che conta è la meta, il luogo dove ogni viaggio si conclude.

Camus ci parlava dell’assurdo, del conflitto tra il desiderio umano di significato e il silenzio del mondo. Ebbene, è proprio la morte che risolve questo conflitto. È lei che dà voce al silenzio, che trasforma l’assurdo in qualcosa di tollerabile, di comprensibile. Perché se non ci fosse la morte, se non sapessimo che tutto ha una fine, allora come potremmo sopportare l’insensatezza della vita? Senza la morte, la vita sarebbe un continuo rincorrere qualcosa che non possiamo afferrare, un tormento senza soluzione.

E cosa dire del suicidio? Esso appare come l’ultima, estrema libertà dell’uomo, un atto di ribellione contro l’assurdo. Ma anche il suicidio, come la morte, trova senso solo all’interno del nostro essere finiti, del nostro essere proiettati verso una fine. Se fossimo immortali, il suicidio non sarebbe un atto di libertà, ma di disperazione totale, l’unica via di fuga da un’eternità priva di significato. E qui, in questa scelta, vediamo l’ombra lunga di Schopenhauer, che nella morte vedeva l’unica via di fuga dal dolore incessante della vita.

Ecco allora che la morte, la grande livellatrice, non è nemica, ma alleata della vita. Essa è ciò che ci permette di vivere autenticamente, di dare valore a ogni singolo istante, a ogni respiro. La morte è il sigillo che rende preziosa l’esistenza, che trasforma ogni momento in qualcosa di irripetibile, di unico. È solo attraverso la morte che possiamo davvero vivere, e vivere con la consapevolezza della nostra fragilità, della nostra finitezza, ci rende liberi. Liberi di scegliere, liberi di amare, liberi di soffrire, liberi di essere. Così, mentre continuiamo il nostro viaggio, sappiamo che ogni passo ci avvicina a quel traguardo inevitabile. Ma non dobbiamo temere, perché è proprio in questo viaggio verso la morte che troviamo il significato della vita. E come diceva Leopardi, “Il naufragar m’è dolce in questo mare.” Naufraghiamo dunque, non verso il nulla, ma verso la nostra destinazione ultima, che non è la fine, ma l’inizio di tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta.