La coerenza di Socrate
La soluzione va cercata guardando a Socrate da un altro angolo.
Prendiamo tre passaggi, il primo dal Carmide. Crizia qui accusa Socrate di mettersi a confutare quanto lui dice ma senza aver dato seguito all’argomento.
Socrate risponde,
«Quale errore fai», dissi, «a pensare che se ti confuto quanto più è possibile, lo faccio per qualche altra ragione che non sia appunto quella per cui esaminerei cosa io stesso stia dicendo, nel timore che, senza avvedermene, io pensi di sapere, mentre non so. [166C-D]
Questa rara affermazione su di sé viene rinforzata dal passo precedente:
«Ebbene, Crizia», dissi, «tu con me ti comporti come se io sostenessi di sapere le cose sulle quali pongo delle domande e potessi essere d’accordo con te, solo che lo desiderassi; ma non è così, al contrario, infatti io indago assieme con te di volta in volta il problema che si presenta, perché io stesso non so. Dopo aver indagato, dunque, voglio dire se sono d’accordo o se non lo sono.” 165D
Che cosa notiamo? Che Socrate dice di cercare la conoscenza nel dialogo con Crizia e sembra voler intendere esattamente ciò che dice. Perché? Dobbiamo riflettere su che cosa egli intende per conoscenza. Socrate ha un’idea della conoscenza che non è mai statica. Pensiamo un attimo a Parmenide, egli offre nel suo poema una verità conclusiva e immodificabile derivata dall’applicazione della logica. Egli vuole che la conclusione sia tanto certa e definitiva quanto la verità che uno crede per fede, anche se egli non ci è giunto tramite una rivelazione divina ma seguendo un ragionamento rigoroso. Per Socrate, le cose stanno diversamente: questi è pronto, sempre, a rivedere le conlusioni già accertate in precedenza, per tale motivo non può dire di possedere la conoscenza, in quanto questa è sempre soggetta a indagine e al cambiamento.
C’è un’affermazione forte di Socrate che possiamo dire nessun più di lui può dire di conoscere, si tratta di quella secondo cui non è mai giusto fare del male al nemico. Nel Critone, Socrate divide gli uomini in due campi separati a seconda che credono in questa tesi o no.
SOCRATE Allora non si deve né ricambiare l’ingiustizia né fare del male a nessuno degli uomini, qualunque cosa si patisca ad opera loro. E guarda bene, o [49d] Critone, se concordi con questi argomenti, così da non dirti concorde contro la tua opinione: so infatti che pochi sono e saranno di quest’opinione. Quindi per coloro che son di quest’opinione e per coloro che non lo sono non è possibile deliberazione comune, ma necessariamente costoro si disprezzano l’un l’altro guardando gli uni le deliberazioni degli altri. Ispeziona dunque anche tu al meglio se sei in comunanza d’opinione e se tu concordi con essa ed iniziamo da qui a deliberare, dal principio che non si ha rettitudine né nel commettere ingiustizia, né nel ricambiare l’ingiustizia, né, patendo un male, nel rispondere facendo del male in cambio, o ti distanzi e non [49e] c’è comunanza tra me e te sul principio? Io, ecco, in passato ero e sono ancora adesso di quest’opinione, se tu invece ti sei formato qualche altra opinione, argomenta ed insegna. Se invece rimani fermo agli argomenti di prima, ascolta il seguito.
La parte che ci interessa l’ho messa in neretto. La discussione è pervenuta a una conclusione, ma Socrate è pronto a cambiare la sua convinzione, è pronto a ricevere da Crizia ciò che lui sa perché ammette che potrebbe esserci la possibilità di rivederla. Lo stesso metodo e procedimento che ha portato a una certa conclusione, se applicato a quest’ultima può portare a una nuova conlusione o dalle conseguenze che la contraddicono e, quindi, Socrate è pronto ad ascoltare e ad ammettere che non sapeva. Socrate sa che la conclusione cui si era giunti in precedenza potrebbe essere vittima di un ragionamento affrettato oppure che le premesse non sono state accuratamente esaminate nelle loro validità o finanche che il processo deduttivo potrebbe essere incorso in qualche errore. Inoltre, sottoporre una conclusione allo stesso metodo che l’ha prodotta potrebbe aprire la porta a nuove comprensione, a nuovi aspetti, alla risposta a un problema che non si conosceva.
Allora possiamo dire che Socrate è qui un investigatore, il ricercatore che guarda o studia un argomento con genuina curiosità; egli osserva costantemente il paesaggio per vedere se non ha tralasciato un dettaglio, un qualcosa che non aveva visto nel primo esame.
Adesso possiamo provare a riconciliare i termini del paradosso: il “predicatore” e colui che sa di non sapere. Come? Il “vangelo” di Socrate, per continuare con questa metafora, o se vogliamo ciò che Socrate sa, è questo: lui vuole risvegliare negli altri il desiderio di sapere ciò che lui sa, e vuole che operino poi questa ricerca da soli e per il loro stesso beneficio. Come insegnante Socrate non impartisce una lezione sulle conclusioni, sulle certezze, che ha raggiunto ma insegna un metodo, il suo metodo, quel metodo di investigazione della verità che gli è proprio e che è più importante delle conclusioni stesse, esso ci arricchisce del potere di ricercare la conoscenza da noi stessi. D’altro canto, il Socrate critico e che mette in dubbio ciò che gli altri sanno pur non avendo già una verità da opporre, questo Socrate è quello che rappresenta il metodo in atto, cioè l’esperienza diretta del metodo stesso. Quando Socrate di “Io non so” esprime un’opposizione alla possibilità che una data conclusione non possa più essere messa sotto esame.
Alla luce di quanto detto, Socrate ci appare ora come un’unità e non come un paradosso: in tutte le sue diverse attività egli rimane colui che ricerca da sé e vuole sempre nuovi compagni in questa sua spedizione. Egli spinge l’interlocutore fino al punto in cui quest’ultimo vede da se stesso la risposta giusta. Non gli fornisce la risposta bell’e pronta. Il valore sta nella ricerca stessa non nel risultato che potrebbe essere messo in discussione da un futuro esame. Questa è la coerenza di Socrate, che egli ci piaccia o no.